
Gli ex-campioni di tennis Fernando Nappo e Anastasia Grigorieva, dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto, riescono finalmente a concepire un figlio con l’aiuto di una bizzarra strega russa. Qualcosa però va storto, e quello che viene al mondo è un T-rex fatto e finito; sì, proprio come quelli estinti 65 milioni di anni fa! Deciso a non lasciarsi frenare da un dettaglio di così poco conto, Fernando inizia ad allenare il figlioletto allo sport che lo ha reso famoso in tutto il mondo, con l’intenzione di fare di lui il nuovo asso del tennis. Trey – questo è il nome del pargolo – è intelligente, talentuoso, molto carismatico, e tutto questo nel corpo di un rettile di tre metri e dall’appetito insaziabile. Bastano queste caratteristiche per fare di lui un campione, o quelle zampette anteriori troppo corte, quel corpo ingombrante e quell’aria minacciosa lo costringeranno ad appendere per sempre la racchetta al chiodo?

Il bello di avere un blog attivo da anni è che nel tempo ho scovato autori di ogni tipo, e voi lo sapete quanto mi piace variare quando scrivo un articolo. Quello di oggi è un autore che ho scoperto durante i miei primissimi giorni di attività, e puta caso è lo stesso del romanzo che vedremo oggi: trattasi di Michele Borgogni, il cui racconto Il banchetto della fine del mondo è stato la prima cosa che ho recensito quando Capitan Miller era solo una pagina Facebook senza una direzione precisa.
Col tempo mi sono dedicato ad altri autori e altre storie, ma non ho mai smesso di seguire Michele sui social. Quello che di lui mi colpiva non era tanto il come scriveva (voi ormai li conoscete i miei standard), ma il cosa. I suoi romanzi attirano l’attenzione per i concept e la cura per le copertine che fa da contorno a una produzione in self-publish di tutto rispetto.
Speravo prima o poi di recensire qualcos’altro di suo, e avevo bisogno di un libro che mostrasse la sua creatività, per cui tra kebabbari, alieni e wrestler, ho optato per quello che secondo me è il suo lavoro più folle: la storia di un bambino che diventa un campione di tennis… che però è anche un dinosauro (e che dinosauro!)
Con un concept del genere il patto narrativo col lettore ha delle clausole enormi (come un dinosauro! ok, basta). Non ti puoi aspettare di scrivere un semplice romanzo di formazione senza trascurare l’elemento assurdo che fa da fulcro alla storia; è necessario tracciare un contorno di ambientazione altrettanto demenziale che tenga in equilibrio la bilancia della coerenza. E Michele di questo ne è consapevole, imbastendo una storia che non fa sconti di situazioni al limite del surreale, e piene di citazioni di ogni tipo.
La trama si sviluppa per mezzo di un narratore onnisciente che non si fa scrupoli a ricordare ai lettori che stanno leggendo un libro, oltre che prendersi gioco dei personaggi stessi. Se a questo uniamo anche i toni da parodia, otteniamo un romanzo che fa il verso ai libri di Fantozzi (non so quanti di voi li abbiano mai letti) per stile e umorismo.
Altro aspetto da segnalare è la presenza di molte note in appendice, che arricchiscono la storia di dettagli demenziali non sempre pertinenti alla trama. Lo scopo di Michele con Game, Set, T-Rex era quello di far ridere i suoi lettori, e da questo punto di vista ha centrato in pieno il bersaglio: si ride tanto, sia per le trovate originali che sviluppano la trama ( a volte con degli efficacissimi colpi di scena), sia per le brillanti gag, che per i conflitti davvero stravaganti che il nostro protagonista Trey si trova a dover superare a causa delle manie del padre.
In effetti la trama è più profonda di quanto non sembri a una prima occhiata, e si sviluppa in modo coerente, con anche del dramma dosato al punto giusto per non essere mai troppo pesante. Avrei promosso appieno l’arco di trasformazione, così come la direzione creativa, se non fosse che la struttura manca completamente di un terzo atto. Per dirla in termini più vicini a quelli di Dara Marks, manca un momento di trasformazione a seguito dell’esperienza di morte, e il tutto viene chiuso in modo sbrigativo nell’epilogo, lasciando un boccone amaro nella bocca del lettore. Si può chiudere un occhio sul narratore onnisciente e sul modo insistente con cui ci invita a fermarci per leggere le note, ma un errore di costruzione che ci priva del climax di fatto vanifica il buono che è stato fatto fino a quel punto.
Un altro errore, meno grave, ma importante da segnalare è nell’utilizzo della terminologia tennistica, che se da una parte ci dimostra la competenza dell’autore nel maneggiare l’argomento, dall’altra risulta di difficile comprensione per tutti i profani che si chiederanno cosa immaginare nelle numerose scene in cui viene disputata una partita. La mancanza di un approccio alla scrittura più immersivo non aiuta in tal senso, e anche se l’autore si è preso la briga di inserire in appendice un glossario, rimane il fatto che per godersi appieno la storia è opportuno che il lettore abbia delle nozioni in partenza.
Questo purtroppo rovina la lettura del libro, e da recensore mi sono interrogato se fosse il caso di parlarne, ma il concept fantastico, la vagonata d’idee, l’umorismo sopra le righe e la simpatia del protagonista valgono da sole il prezzo (nemmeno alto) di copertina. E se state cercando qualcosa che vi diverta, pur senza badare tanto a come la storia è scritta, Game, Set, T-rex vi regalerà momenti di spontanea allegria.
LINK AL LIBRO: Game, Set, T-Rex
IDEE: Cos’altro devo aggiungere? È una storia in cui un tirannosauro diventa un campione di tennis, e se questo non vi convince, l’autore ha riempito il libro di gag che metteranno a dura prova il vostro stoicismo.

STILE: Il narratore onnisciente fa la sua per divertire il lettore a discapito dell’immersione, ma se a questo aggiungiamo anche le numerose annotazioni, si farà fatica a stare dentro la scena. In più l’utilizzo di termini molto tecnici del tennis rende molto difficile seguire l’azione durante le partite.

INTRECCIO: La trama è ben strutturata e si è portati a fare il tifo per il protagonista. Purtroppo si interrompe proprio sul più bello e ci porta a un epilogo che da solo non riesce a soddisfare il lettore, malgrado s’impegni a chiudere i punti lasciati in sospeso.

VOTO SOGGETTIVO: Quel terzo atto mancante mi ha infastidito non poco, ma mentirei se dicessi che non mi sono divertito. La narrativa è fatta anche di questo: storie meno brillanti tecnicamente, ma vincenti sul piano dell’intrattenimento.

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